Charta 77, il movimento per i diritti umani, fondato da Václav Havel, Jiří Hájek e Jan Patočka, che fu attivo in Cecoslovacchia dal 1977 sino alla Rivoluzione di velluto (1989), rappresenta certamente un capitolo rilevante della vicenda storica del progresso dei diritti umani, ma in modo ancor più essenziale vi contribuisce sul piano della riflessione filosofica. In particolare: l’originale prospettiva assunta da Charta 77 (principalmente da Havel e Patočka) ha le sue radici in un confronto – consapevole e tematizzato – fra le posizioni di Husserl e di Heidegger. Il «dissidio» del 1927 viene dunque ripensato per elaborare una proposta che si può definire ontofenomenologica, una filosofia dei diritti umani che si presenta programmaticamente antimetafisica, diretta a “suturare” la scissione cartesiana, attraverso la valorizzazione dell’elemento della corporeità (Leib) e del movimento (metabolé, entelechia). I diritti umani vengono così, per un verso, concepiti come apriori antropologici (i diritti fondamentali, alcuni diritti economici, “figli” della necessità imperativa e irriflessa di accogliere e preservare la vita) e per altro verso come un orizzonte sempre storicamente vincolato (i diritti civili e politici, “figli” della paideia civile, dell’epoché radicale, della vigilanza morale sulla libera ricerca del senso e delle possibilità che la permettono) e perciò mai interamente posseduto, sempre soggetto a possibili “cadute” e sempre aperto a nuovi sviluppi.
Movimento e opposizione. Charta 77 e l’interpretazione fenomenologica dei diritti umani
mori v.
2022-01-01
Abstract
Charta 77, il movimento per i diritti umani, fondato da Václav Havel, Jiří Hájek e Jan Patočka, che fu attivo in Cecoslovacchia dal 1977 sino alla Rivoluzione di velluto (1989), rappresenta certamente un capitolo rilevante della vicenda storica del progresso dei diritti umani, ma in modo ancor più essenziale vi contribuisce sul piano della riflessione filosofica. In particolare: l’originale prospettiva assunta da Charta 77 (principalmente da Havel e Patočka) ha le sue radici in un confronto – consapevole e tematizzato – fra le posizioni di Husserl e di Heidegger. Il «dissidio» del 1927 viene dunque ripensato per elaborare una proposta che si può definire ontofenomenologica, una filosofia dei diritti umani che si presenta programmaticamente antimetafisica, diretta a “suturare” la scissione cartesiana, attraverso la valorizzazione dell’elemento della corporeità (Leib) e del movimento (metabolé, entelechia). I diritti umani vengono così, per un verso, concepiti come apriori antropologici (i diritti fondamentali, alcuni diritti economici, “figli” della necessità imperativa e irriflessa di accogliere e preservare la vita) e per altro verso come un orizzonte sempre storicamente vincolato (i diritti civili e politici, “figli” della paideia civile, dell’epoché radicale, della vigilanza morale sulla libera ricerca del senso e delle possibilità che la permettono) e perciò mai interamente posseduto, sempre soggetto a possibili “cadute” e sempre aperto a nuovi sviluppi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.