Abstract A partire dalla fine degli anni settanta, è emerso nei maggiori paesi industrializzati, in tutta la sua gravità, il problema della gestione dei siti industriali dismessi, generando rischi notevoli per la salute delle comunità e dell’ambiente. L’economia circolare è oggi una prospettiva che guida la definizione delle strategie di rigenerazione urbana di questi siti nevralgici presenti nelle città contemporanee. L’obiettivo del presente paper è quello di riflettere sul ruolo dei processi partecipativi nei progetti di rigenerazione delle aree industriali dismesse e come questi dovrebbero essere valorizzati durante le fasi di realizzazione della Valutazione Ambientale Strategica. Nel nostro paese esiste un enorme patrimonio dismesso fatto di impianti industriali, siti militari, linee e stazioni ferroviarie, chiese e conventi, miniere, cave, edifici monumentali e altro ancora, quasi del tutto sconosciuto e abbandonato. L’entità di questo patrimonio è tale da rappresentare un problema a scala urbana e territoriale a motivo dei danni che crea caso per caso, inquinamento ambientale, degrado edilizio, assetto urbano, sicurezza, decoro, che nel complesso comportano costi economici e sociali rilevanti. La rigenerazione delle aree industriali dismesse rappresenta una sfida e al contempo un'opportunità per molte città. Queste aree, spesso caratterizzate da infrastrutture obsolete e inutilizzate, possono rappresentare un’occasione per la trasformazione di quartieri urbani. Attraverso strategie di rigenerazione, è possibile riqualificare queste zone, trasformandole in spazi multifunzionali che rispondono alle esigenze contemporanee delle città. La rigenerazione delle aree industriali dismesse non solo consente di recuperare aree inutilizzate, ma offre anche l'opportunità di promuovere la sostenibilità ambientale e sociale, creando nuovi posti di lavoro, spazi verdi, infrastrutture ricreative e culturali. Tuttavia, affrontare con successo la rigenerazione di queste aree richiede la partecipazione attiva degli stakeholder locali e un approccio integrato che tenga conto delle esigenze di sviluppo sostenibile a lungo termine. Chiarito l’assunto di partenza dobbiamo acquisire gli essenziali riferimenti in materia costituiti dagli esiti dalle conferenze internazionali tenute a partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento, due delle quali riguardano direttamente gli argomenti di cui stiamo parlando. Il primo riferimento è la “Carta di Aalborg” che nella Parte I – Dichiarazione di principio: le città europee per un modello urbano sostenibile – formula una importante dichiarazione in merito al concetto dello sviluppo sostenibile fornisce una guida per commisurare il livello di vita alle capacità di carico della natura. Pongono tra i loro obiettivi giustizia sociale, economie sostenibili e sostenibilità ambientale. L’inscindibilità tra rigenerazione urbana e sostenibilità, nel senso che non può esistere una rigenerazione urbana che non sia sostenibile, oltre che sul piano economico, su quello ambientale e su quello sociale (Carta di Aalborg). Il secondo riferimento è la “Dichiarazione di Toledo” che tocca ancor più da vicino le nostre considerazioni in quanto indica l’importanza strategica della “rigenerazione urbana integrata” (Dichiarazione di Toledo). Un aspetto essenziale da valutare al fine di una efficace traduzione operativa della rigenerazione urbana è quello del quadro normativo in materia. A livello nazionale il più recente riferimento è costituito da un Disegno di Legge approvata dal Senato della Repubblica. Va detto che nell’attuale stesura è un provvedimento che presenta luci e ombre (Disegno di Legge del 23 Febbraio 2021). Il pregio principale sta certamente nella volontà di dare vita a una legge che riguarda in modo specifico la rigenerazione urbana, la qual cosa va a coprire un vuoto normativo che ha ingenerato molta confusione nell’applicazione pratica di questo tipo di intervento. Tuttavia, fin dal primo articolo della legge emerge una criticità di fondo legata all’eccessiva ampiezza ed eterogeneità delle finalità, che vanno dalla tutela dell’ambiente e del paesaggio, alla sovranità agroalimentare, alla salvaguardia delle funzioni ecosistemiche del suolo. Condivisibili, anche da calibrare, appaiono le indicazioni sugli strumenti da porre in essere per sostenere l’attività di rigenerazione: il Programma Nazionale, il Fondo di dotazione, la Cabina di Regia, la Banca dati del riuso, il Piano comunale della rigenerazione. Viceversa, del tutto da ripensare in termini di semplificazione è la catena procedurale che conduce alla realizzazione degli interventi, soprattutto per quel che riguarda il ruolo e i compiti delle Regioni. Non migliore è il panorama che si desume dalla moltitudine delle leggi regionali che sembrano acuire la confusione interpretativa proponendo definizioni assai diverse tra loro, a ulteriore conferma delle difficoltà create dalla mancanza di un quadro normativo unico per il territorio nazionale. In sostanza, com’è facile desumere anche da questa rapida ricognizione sull’argomento, siamo in presenza di una congerie di leggi, regolamenti, provvedimenti economici e fiscali, sia a livello nazionale che regionale e locale, nei quali la richiamata indeterminatezza permane in pieno. Dunque, resta del tutto aperta e non percorsa la strada della messa a punto di una norma quadro di livello nazionale, alla quale le norme regionali dovrebbero essere tenute ad adeguarsi, che fissi una volta per tutte il campo di definizione della pratica della rigenerazione urbana. Sono questi i riferimenti, alcuni di natura teorica, altri di contenuto tecnico, altri ancora di tipo normativo, che occorre mettere a punto per avviare un sistema di azioni di livello nazionale, regionale e locale che consenta di orientare un pervasivo percorso di pianificazione, progettazione e costruzione della città della rigenerazione e di canalizzare al meglio le risorse finanziarie disponibili. La mancanza di questi riferimenti spiega in larga misura il fallimento eclatante che si è verificato in alcune situazione limite, come per esempio, Crotone, Bagnoli, Termini Imerese, e altre simili, tutte realtà nelle quali l’incapacità di avviare processi di rigenerazione urbana e ambientale ha dato luogo al formarsi di situazioni di collasso economico, di perdita di occupazione, di disagio sociale e di degrado ambientale. Sarebbero certamente tutti argomenti validi, ma alla base di tutto vi è una causa primaria ed è la mancata affermazione di una “cultura della rigenerazione urbana” che vada a sostituire la “cultura della espansione urbana” sulla quale, a partire dalla metà del secolo scorso, si sono basati nel nostro Paese i processi di governo della città e del territorio. Infine, un’ultima osservazione per quanto riguarda il “Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale” che l’Italia ha predisposto in conformità al Next Generation Eu europeo. Il punto dolente, è rappresentato dalla mancanza di alcune condizioni, utili ad avviare una seria politica di rigenerazione urbana, e ciò per due motivi. Il primo discende da quanto detto in precedenza circa la mancata delimitazione del campo di definizione e, quindi, di operatività della rigenerazione urbana. Fino a quando si continuerà a confonderla con altre azioni tipiche dell’intervento sul territorio, come riqualificazione, ristrutturazione, risanamento, recupero e via dicendo, non sarà possibile predisporre le norme necessarie e individuarne la fisionomia e non sarà possibile canalizzare nel mondo opportuno le risorse finanziarie. Il secondo motivo è legato al fatto che il patrimonio di “oggetti urbani” dismessi nel nostro Paese, ha una dimensione quantitativa enorme ma è per la gran parte sconosciuto perché non esiste un rilevamento sistematico a livello centrale e i pochi esistenti a livello regionale e locale oltre a essere parziali e realizzati una tantum, sono per lo più riferiti ad aspetti di volta in volta diversi. Insomma, nulla che consenta di disporre di una base conoscitiva affidabile a cui attingere per costruire programmi di tipo rigenerativo (Agenzia del Demanio). E’ evidente che si tratta di due punti dirimenti rispetto alla possibilità che la voce “Rigenerazione Urbana” del PNRR riesca ad avere concreta attuazione.

Publicness: le sfide della dimensione pubblica nelle città e nei territori

Ferdinando Verardi
2025-01-01

Abstract

Abstract A partire dalla fine degli anni settanta, è emerso nei maggiori paesi industrializzati, in tutta la sua gravità, il problema della gestione dei siti industriali dismessi, generando rischi notevoli per la salute delle comunità e dell’ambiente. L’economia circolare è oggi una prospettiva che guida la definizione delle strategie di rigenerazione urbana di questi siti nevralgici presenti nelle città contemporanee. L’obiettivo del presente paper è quello di riflettere sul ruolo dei processi partecipativi nei progetti di rigenerazione delle aree industriali dismesse e come questi dovrebbero essere valorizzati durante le fasi di realizzazione della Valutazione Ambientale Strategica. Nel nostro paese esiste un enorme patrimonio dismesso fatto di impianti industriali, siti militari, linee e stazioni ferroviarie, chiese e conventi, miniere, cave, edifici monumentali e altro ancora, quasi del tutto sconosciuto e abbandonato. L’entità di questo patrimonio è tale da rappresentare un problema a scala urbana e territoriale a motivo dei danni che crea caso per caso, inquinamento ambientale, degrado edilizio, assetto urbano, sicurezza, decoro, che nel complesso comportano costi economici e sociali rilevanti. La rigenerazione delle aree industriali dismesse rappresenta una sfida e al contempo un'opportunità per molte città. Queste aree, spesso caratterizzate da infrastrutture obsolete e inutilizzate, possono rappresentare un’occasione per la trasformazione di quartieri urbani. Attraverso strategie di rigenerazione, è possibile riqualificare queste zone, trasformandole in spazi multifunzionali che rispondono alle esigenze contemporanee delle città. La rigenerazione delle aree industriali dismesse non solo consente di recuperare aree inutilizzate, ma offre anche l'opportunità di promuovere la sostenibilità ambientale e sociale, creando nuovi posti di lavoro, spazi verdi, infrastrutture ricreative e culturali. Tuttavia, affrontare con successo la rigenerazione di queste aree richiede la partecipazione attiva degli stakeholder locali e un approccio integrato che tenga conto delle esigenze di sviluppo sostenibile a lungo termine. Chiarito l’assunto di partenza dobbiamo acquisire gli essenziali riferimenti in materia costituiti dagli esiti dalle conferenze internazionali tenute a partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento, due delle quali riguardano direttamente gli argomenti di cui stiamo parlando. Il primo riferimento è la “Carta di Aalborg” che nella Parte I – Dichiarazione di principio: le città europee per un modello urbano sostenibile – formula una importante dichiarazione in merito al concetto dello sviluppo sostenibile fornisce una guida per commisurare il livello di vita alle capacità di carico della natura. Pongono tra i loro obiettivi giustizia sociale, economie sostenibili e sostenibilità ambientale. L’inscindibilità tra rigenerazione urbana e sostenibilità, nel senso che non può esistere una rigenerazione urbana che non sia sostenibile, oltre che sul piano economico, su quello ambientale e su quello sociale (Carta di Aalborg). Il secondo riferimento è la “Dichiarazione di Toledo” che tocca ancor più da vicino le nostre considerazioni in quanto indica l’importanza strategica della “rigenerazione urbana integrata” (Dichiarazione di Toledo). Un aspetto essenziale da valutare al fine di una efficace traduzione operativa della rigenerazione urbana è quello del quadro normativo in materia. A livello nazionale il più recente riferimento è costituito da un Disegno di Legge approvata dal Senato della Repubblica. Va detto che nell’attuale stesura è un provvedimento che presenta luci e ombre (Disegno di Legge del 23 Febbraio 2021). Il pregio principale sta certamente nella volontà di dare vita a una legge che riguarda in modo specifico la rigenerazione urbana, la qual cosa va a coprire un vuoto normativo che ha ingenerato molta confusione nell’applicazione pratica di questo tipo di intervento. Tuttavia, fin dal primo articolo della legge emerge una criticità di fondo legata all’eccessiva ampiezza ed eterogeneità delle finalità, che vanno dalla tutela dell’ambiente e del paesaggio, alla sovranità agroalimentare, alla salvaguardia delle funzioni ecosistemiche del suolo. Condivisibili, anche da calibrare, appaiono le indicazioni sugli strumenti da porre in essere per sostenere l’attività di rigenerazione: il Programma Nazionale, il Fondo di dotazione, la Cabina di Regia, la Banca dati del riuso, il Piano comunale della rigenerazione. Viceversa, del tutto da ripensare in termini di semplificazione è la catena procedurale che conduce alla realizzazione degli interventi, soprattutto per quel che riguarda il ruolo e i compiti delle Regioni. Non migliore è il panorama che si desume dalla moltitudine delle leggi regionali che sembrano acuire la confusione interpretativa proponendo definizioni assai diverse tra loro, a ulteriore conferma delle difficoltà create dalla mancanza di un quadro normativo unico per il territorio nazionale. In sostanza, com’è facile desumere anche da questa rapida ricognizione sull’argomento, siamo in presenza di una congerie di leggi, regolamenti, provvedimenti economici e fiscali, sia a livello nazionale che regionale e locale, nei quali la richiamata indeterminatezza permane in pieno. Dunque, resta del tutto aperta e non percorsa la strada della messa a punto di una norma quadro di livello nazionale, alla quale le norme regionali dovrebbero essere tenute ad adeguarsi, che fissi una volta per tutte il campo di definizione della pratica della rigenerazione urbana. Sono questi i riferimenti, alcuni di natura teorica, altri di contenuto tecnico, altri ancora di tipo normativo, che occorre mettere a punto per avviare un sistema di azioni di livello nazionale, regionale e locale che consenta di orientare un pervasivo percorso di pianificazione, progettazione e costruzione della città della rigenerazione e di canalizzare al meglio le risorse finanziarie disponibili. La mancanza di questi riferimenti spiega in larga misura il fallimento eclatante che si è verificato in alcune situazione limite, come per esempio, Crotone, Bagnoli, Termini Imerese, e altre simili, tutte realtà nelle quali l’incapacità di avviare processi di rigenerazione urbana e ambientale ha dato luogo al formarsi di situazioni di collasso economico, di perdita di occupazione, di disagio sociale e di degrado ambientale. Sarebbero certamente tutti argomenti validi, ma alla base di tutto vi è una causa primaria ed è la mancata affermazione di una “cultura della rigenerazione urbana” che vada a sostituire la “cultura della espansione urbana” sulla quale, a partire dalla metà del secolo scorso, si sono basati nel nostro Paese i processi di governo della città e del territorio. Infine, un’ultima osservazione per quanto riguarda il “Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale” che l’Italia ha predisposto in conformità al Next Generation Eu europeo. Il punto dolente, è rappresentato dalla mancanza di alcune condizioni, utili ad avviare una seria politica di rigenerazione urbana, e ciò per due motivi. Il primo discende da quanto detto in precedenza circa la mancata delimitazione del campo di definizione e, quindi, di operatività della rigenerazione urbana. Fino a quando si continuerà a confonderla con altre azioni tipiche dell’intervento sul territorio, come riqualificazione, ristrutturazione, risanamento, recupero e via dicendo, non sarà possibile predisporre le norme necessarie e individuarne la fisionomia e non sarà possibile canalizzare nel mondo opportuno le risorse finanziarie. Il secondo motivo è legato al fatto che il patrimonio di “oggetti urbani” dismessi nel nostro Paese, ha una dimensione quantitativa enorme ma è per la gran parte sconosciuto perché non esiste un rilevamento sistematico a livello centrale e i pochi esistenti a livello regionale e locale oltre a essere parziali e realizzati una tantum, sono per lo più riferiti ad aspetti di volta in volta diversi. Insomma, nulla che consenta di disporre di una base conoscitiva affidabile a cui attingere per costruire programmi di tipo rigenerativo (Agenzia del Demanio). E’ evidente che si tratta di due punti dirimenti rispetto alla possibilità che la voce “Rigenerazione Urbana” del PNRR riesca ad avere concreta attuazione.
2025
Rigenerazione urbana e ambientale, Economia circolare, Aree industriali dismesse
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12607/60122
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
social impact