La riforma della prescrizione penale, introdotta dalla l. 3/2019 rappresenta un’occasione per riflettere sui rapporti che, a diciott’anni dall’entrata in vigore del d.lgs. 231/2001, intercorrono tra l’istituto penalistico e quello descritto dall’art. 22 del decreto. Dal 2001 ad oggi, la prescrizione penale è stata oggetto di tre interventi riformatori, che hanno profondamente modificato il sistema originariamente previsto dal Codice Rocco. Ferma restando la scelta di sottrarre al meccanismo prescrizionale i delitti più gravi – puniti con l’ergastolo – la l. 251/2005, cd. ex Cirielli, ha integralmente riscritto l’art. 157 c.p., introducendo un rigoroso automatismo tra sanzione edittale massima e tempo necessario a prescrivere. Si deve a questa novella l’ingresso nel dibattito penalistico di un elemento profondamente discusso anche in fase di approvazione della l. 3/2019: il legame tra prescrizione e ragionevole durata del processo. La «nuova» prescrizione, infatti, se da un lato aveva il merito di fissare una data certa per la prescrizione dei reati, dall’altro lato, accorciando i termini prescrizionali di numerosi reati avrebbe determinato, secondo parte della letteratura penalistica, un patologico incremento dei reati estinti per il solo decorso del tempo. Per ovviare a questo fenomeno, in meno di due anni si sono susseguite due riforme, quella operata dalla l. 161/2017 e quella del 2019, in base alla quale il termine di prescrizione non può più decorrere dopo una pronuncia di primo grado. A fronte di queste continue rivoluzioni, la prescrizione dell’illecito amministrativo, modellata sul paradigma civilistico, recepito anche dalla l. 689/1981, è rimasta inalterata. Indagare il rapporto tra i due istituti rappresenta un’utile occasione per riflettere sul rapporto tra illecito amministrativo e reato, per meglio comprendere i rapporti tra sistema 231 e materia penale.

Affinità e divergenze tra prescrizione del reato e prescrizione dell'illecito amministrativo

GUERINI T
2019-01-01

Abstract

La riforma della prescrizione penale, introdotta dalla l. 3/2019 rappresenta un’occasione per riflettere sui rapporti che, a diciott’anni dall’entrata in vigore del d.lgs. 231/2001, intercorrono tra l’istituto penalistico e quello descritto dall’art. 22 del decreto. Dal 2001 ad oggi, la prescrizione penale è stata oggetto di tre interventi riformatori, che hanno profondamente modificato il sistema originariamente previsto dal Codice Rocco. Ferma restando la scelta di sottrarre al meccanismo prescrizionale i delitti più gravi – puniti con l’ergastolo – la l. 251/2005, cd. ex Cirielli, ha integralmente riscritto l’art. 157 c.p., introducendo un rigoroso automatismo tra sanzione edittale massima e tempo necessario a prescrivere. Si deve a questa novella l’ingresso nel dibattito penalistico di un elemento profondamente discusso anche in fase di approvazione della l. 3/2019: il legame tra prescrizione e ragionevole durata del processo. La «nuova» prescrizione, infatti, se da un lato aveva il merito di fissare una data certa per la prescrizione dei reati, dall’altro lato, accorciando i termini prescrizionali di numerosi reati avrebbe determinato, secondo parte della letteratura penalistica, un patologico incremento dei reati estinti per il solo decorso del tempo. Per ovviare a questo fenomeno, in meno di due anni si sono susseguite due riforme, quella operata dalla l. 161/2017 e quella del 2019, in base alla quale il termine di prescrizione non può più decorrere dopo una pronuncia di primo grado. A fronte di queste continue rivoluzioni, la prescrizione dell’illecito amministrativo, modellata sul paradigma civilistico, recepito anche dalla l. 689/1981, è rimasta inalterata. Indagare il rapporto tra i due istituti rappresenta un’utile occasione per riflettere sul rapporto tra illecito amministrativo e reato, per meglio comprendere i rapporti tra sistema 231 e materia penale.
2019
Prescrizione
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12607/5545
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